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Legislazione

LEGISLAZIONE ANTIDOPING IN ITALIA

Le regole antidoping in Italia sono stabilite da quello che è considerato il pilastro normativo italiano in tema di doping, ovvero la legge 376 del 14 dicembre 2000 “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”.

La legge 376/2000 si uniforma alla disciplina emanata dalla WADA “World AntiDoping Agency”, stabilendo dei punti di contatto e realizzando anche un’organizzazione italiana capace di essere non solo al passo coi tempi, ma anche di rispettare le line guida che tale organizzazione stabilirà. Per questo motivo l’Italia, subito dopo aver creato la legge 376/2000, integrerà la sua piena adesione al contrasto al doping attraverso la promulgazione della legge 13 ottobre 2003 n. 281 che autorizza la partecipazione dell’Italia all’Agenzia, istituendo anche una collaborazione tra il CONI e la WADA stessa.

La legge 376/2000, sin dal primo articolo, stabilisce con chiarezza cosa s’intende per doping, ma soprattutto introduce quegli aspetti penali del fenomeno prima sottovalutati, realizzando nel contempo una Commissione di controllo capace di capire quali siano le sostanze che possono creare un effetto dopante. La legge introduce una serie di nuove norme ed elementi che non si limitano solo a dettagliare previsioni punitive ma anche a coinvolgere altre istituzioni.

I SOGGETTI

Dipartimento per lo sport, Presidenza del Consiglio dei Ministri

La lotta contro il doping costituisce una delle attività strategiche dell’Ufficio per lo Sport il quale ha tra i suoi compiti la cura dei rapporti internazionali con enti e istituzioni che hanno competenza in materia di sport, con particolare riguardo all’Unione europea, al Consiglio d’Europa, all’UNESCO e alla Agenzia Mondiale Anti-Doping (WADA) al fine di promuovere lo sviluppo dell’attività di prevenzione del doping nello sport.

Grande rilievo ha altresì l’attività svolta in ambito nazionale con le istituzioni preposte al contrasto dei fenomeni di doping, quali la NADO Italia (organizzazione nazionale antidoping derivazione funzionale della Agenzia Mondiale Antidoping con responsabilità esclusiva in materia di adozione ed applicazione delle norme in conformità al Codice Mondiale Antidoping del quale è parte firmataria) o la Sezione per il controllo e vigilanza sul doping (presso il Ministero della Salute).

CONI NADO

Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), emanazione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), è l’Ente che cura in Italia l’organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale, nonché l’adozione di misure di prevenzione e repressione del doping nell’ambito dell’ordinamento sportivo. Il CONI è la Confederazione delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate e si conforma ai principi dell’ordinamento sportivo internazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal CIO. Il CONI quale Organizzazione Nazionale Antidoping (NADO) è l’ente nazionale al quale compete la massima autorità e responsabilità in materia di attuazione ed adozione del Programma Mondiale Antidoping WADA ivi comprese la pianificazione ed organizzazione dei controlli, la gestione dei risultati dei test e la conduzione dei dibattimenti. Il CONI ha, a tal fine, adottato le presenti Norme Sportive Antidoping (di seguito NSA) quale documento tecnico attuativo del Programma Mondiale Antidoping WADA e segnatamente del Codice Mondiale Antidoping WADA e degli Standard Internazionali.

Attraverso il Documento tecnico-attuativo del Codice Mondiale Antidoping WADA e dei relativi Standard internazionali il CONI-NADO adotta ed attua politiche e regolamenti antidoping che siano conformi al Codice.

Ai fini dell’espletamento del Programma Mondiale Antidoping e degli adempimenti di cui al documento tecnico attuativo, il CONI-NADO organizza la propria attività attraverso le seguenti strutture: o il Comitato Controlli Antidoping (CCA), organismo indipendente, che provvede alla pianificazione ed organizzazione dei controlli antidoping, in competizione e fuori competizione; o il Comitato Esenzioni a Fini Terapeutici (CEFT), organismo indipendente, che provvede all’attuazione delle procedure inerenti la richiesta di esenzione a fini terapeutici; o l’Ufficio Procura Antidoping (UPA), organismo indipendente che provvede alla gestione dei risultati nonché a compiere, in via esclusiva, tutti gli atti necessari all’accertamento delle violazioni delle NSA da parte dei soggetti sui quali il CONI-NADO ha giurisdizione. Cura altresì i rapporti con l’Autorità giudiziaria e comunica alla Procura della Repubblica le violazioni delle NSA contestate, ai sensi e per gli effetti del vigente quadro normativo di riferimento; o il Tribunale Nazionale Antidoping (TNA), organismo indipendente, che decide in materia di violazioni delle NSA.

Ai fini dell’esecuzione dei controlli antidoping, in competizione e fuori competizione, il CONI-NADO si avvale degli Ispettori Medici qualificati della Federazione Medico Sportiva Italiana (FMSI) nonché per le analisi dei campioni del Laboratorio Antidoping di Roma, unico accreditato WADA su territorio nazionale, ovvero di altri Laboratori accreditati dalla WADA.

 – Regioni

Le Regioni ora possono svolgere in maniera più chiara tutte quelle funzioni necessarie in tema di salute pubblica. Tali istituzioni potranno quindi, con la copertura legislativa prevista dalla legge 376/2000, svolgere quei compiti di programmazione nell’ambito delle attività di prevenzione e tutela della salute in relazione al fenomeno del doping.

SISTEMA SANZIONATORIO

La legge 376 del 14 dicembre 2000 contiene sanzioni penali collegate ad attività di consumo e di commercializzazione di sostanze dopanti.

Il tema penale, che viene ampiamente disciplinato con tale legge, è focalizzato non solo sulla salute pubblica, ma anche su colui o coloro i quali procurano farmaci o sostanze biologicamente attive non giustificate da condizioni patologiche. La legge in questione non si sofferma quindi sugli aspetti connessi alla lealtà e alla correttezza sportiva che invece dovranno essere rimandati e disciplinati dall’altra componente giuridica, ovvero dall’ordinamento giuridico sportivo. Entrando però nel merito e nel cuore della legge 376/2000, appare subito evidente come il combinato disposto degli artt. 1 e 9 costituisca il portato normativo che definisce la nozione di doping, le fattispecie delittuose e il sistema sanzionatorio.

Le condotte incriminate sono quelle previste dall’art. 9: al comma 1 si statuisce la pena della reclusione da 3 mesi a 3 anni per chi procura, somministra, assume o favorisce l’utilizzo di sostanze dopanti al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti o di modificare i risultati dei controlli (elemento costitutivo della condotta). Destinatario della pena è, quindi, sia colui che consente la pratica illecita, sia lo stesso fruitore.

Non può considerarsi punibile chi non esercita attività agonistica, partecipando, quindi, a manifestazioni di carattere competitivo organizzate sotto l’egida degli Enti riconosciuti dal CONI.

Per incorrere nella fattispecie criminosa, non è necessario un collegamento temporale fra l’assunzione e la prestazione: è illecita anche l’attività posta in essere in fase di preparazione dell’impegno agonistico (es. sostanze anabolizzanti “slow release”, cioè a lento rilascio della sostanza).

Ecco i punti più importanti di questa legge:

” Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”

Art. 1

Tutela sanitaria delle attività sportive. Divieto di doping

Costituiscono doping la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti.

In presenza di condizioni patologiche dell’atleta documentate e certificate dal medico, all’atleta stesso può essere prescritto specifico trattamento purché sia attuato secondo le modalità indicate nel relativo e specifico decreto di registrazione europea o nazionale ed i dosaggi previsti dalle specifiche esigenze terapeutiche. In tale caso, l’atleta ha l’obbligo di tenere a disposizione delle autorità competenti la relativa documentazione e può partecipare a competizioni sportive, nel rispetto di regolamenti sportivi, purché ciò non metta in pericolo la sua integrità psicofisica.

Art. 9
Disposizioni penali

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da 2.500 a 50.000 euro chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, compresi nelle classi previste all’articolo 2, comma 1, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso ditali farmaci o sostanze.

La pena di cui ai commi i e 2 è aumentata:

se dal fatto deriva un danno per la salute;

se il fatto è commesso nei confronti di un minorenne;

se il fatto è commesso da un componente o da un dipendente del CONI ovvero di una federazione sportiva nazionale, di una società, di un’associazione o di un ente riconosciuti dal CONI.

Se il fatto è commesso da chi esercita una professione sanitaria, alla condanna consegue l’interdizione temporanea dall’esercizio della professione.

Nel caso previsto dal comma 3, lettera c), alla condanna consegue l’interdizione permanente dagli uffici direttivi del CONI, delle federazioni sportive nazionali, società, associazioni ed enti di promozione riconosciuti dal CONI.

Con la sentenza di condanna è sempre ordinata la confisca dei farmaci, delle sostanze farmaceutiche e delle altre cose servite o destinate a commettere il reato.

Chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive compresi nelle classi di cui all’articolo 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente, destinati alla utilizzazione sul paziente, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da € 5164, 57 a € 77468, 58.

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